Maurizio Aprea
Il nuovo racconto
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Maurizio Aprea
Il nuovo racconto
Opere dal 1980 al 2010
Presentate alla Galleria OSTRAKON di Via Pastrengo 15, Milano
Dal 18 novembre al 10 dicembre 2010
Dal COMUNICATO STAMPA:
“Maurizio Aprea chiama le sue stupefacenti trasformazioni: Radiopitture, Oscillanti, Endosculture. Fisica e Arte: la luce, quando cade su una superficie previamente trattata con pigmenti o graffiata con una punta secca, produce effetti coloristici o rivela contorni di forme che mutano a seconda dell’angolo di incidenza.
Se il medium è costituito da un pacchetto di lastre trasparenti (plexiglass) sapientemente ordinate, scalfite individualmente, il cambiamento del punto di vista, attuato per spostamento dell’osservatore o per lieve movimento dell’artefatto, innesca il fenomeno del morphing, massimamente fluido in quanto costituito da infiniti stati intermedi. Metafora degli infiniti stati dell’essere.”
Testo di presentazione a cura di Dorino Iemmi
Lì – in quella crisi e mutazione relazionale – comincia la via espressiva, la ragion d’essere, la leggenda, la quotidiana bottega del nostro artista: garage intelligenti per sole biciclette, loft e studi sempre puliti, mura di lavoro cariche di prese elettriche, cavi e pannelli, luoghi dove mostra – solo all’imbrunire – opere finite ma dove non c’è traccia di materiali, non c’è segno di materia.
“Lui è pittore, scultore su plexiglas, installatore, teorico della luce, analista della forma, indagatore della complessità dell’individuo e raccontatore di storie: short-stories, minimali, effimere, ma ancora meravigliate dell’esistente, come in un epigono nostrano di Raymond Carver, tra metropolitano e ambientalista, realista e mitologico. Nella seconda metà degli anni Settanta avanza in alcuni artisti appena usciti da Brera, e tra questi Maurizio Aprea – nella Milano delle lotte sociali autonome – la pretesa di nuovi linguaggi espressivi indotti più che dalla evoluzione tecnica da una necessaria nuova narrazione della realtà.
Se tutto è governato dalla relazione e prende senso nella relazione. Se il gesto dell’uomo – il graffito che non teme vulnus del tempo dai primordi ad oggi – prende luce tra gli altri segni sulla lavagna trasparente della caverna polisemantica, se il messaggio è il mezzo, se la comunicazione è molteplice, se l’epifania dell’ individuo assume significato e forma solo vivente in un processo construens-destruens. Come rendere in opera, in oggetto espressivo compiuto questa percezione di dati reali che si fondono con i virtuali? Si può, con un nouveau régard. Per un pittore la realtà prende senso solo dallo sguardo, solo dall’occhio, – dall’angolo visuale che è punto di vista concettuale -, da come e da dove si guarda, dai condizionamenti compulsivi e remoti dello sguardo.”
Dal testo in catalogo di Piero Del Giudice