Maurizio Aprea

Sale e Tabacchi

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Maurizio Aprea

Sale e Tabacchi

Il Sale e Tabacchi prima del 2003

Mostra a Berlino al “Sale e Tabacchi”, 1997.

Nel Dicembre 1997 partivamo con un furgone per Berlino insieme a un buon numero di opere debitamente imballate. Condotto da Fabio Pittella – una comune e per noi nuova conoscenza, che avrebbe condiviso la ‘spedizione’ – era venuto in visita nell’allora studio di Via San Calocero Piero De Vitis, meglio conosciuto come il padrone e ideatore del ‘Sale e Tabacchi’, un caffè ristorante situato nel quartiere di Kreuzberg di Berlino in Rudi-Dutschke Straße 25.

Questo locale, aperto da non molto dall’italiano De Vitis, era già allora avviato a diventare tra i posti più trendy nell’ ambito della sinistra alternativa e controculturale d’ Europa – anche se ben presto si andrà ‘imborghesendo’ e quasi istituzionalizzando se già nel 2003 il giornalista del ‘Corriere’ Paolo Valentino in un articolo su ‘Sette’ dal titolo ‘Il Budenstang degli spaghetti’ scriverà: “E’ stato quest’ultimo [il ministro socialdemocratico degli Interni Otto Shilly, ndr.], a portare il cancelliere Gerhard Schröder a cena da ‘Sale e Tabacchi‘. Da quel momento, il ristorante è diventato una specie di quartier generale socialdemocratico”. Tornando al 1997 e alla genesi della Mostra al ‘Sale e Tabacchi’: De Vitis, visitato lo studio, si disse molto interessato a programmare nel proprio locale una mostra di Maurizio che a sua volta si faceva sempre più convinto sia per le insistenze di Fabio sia stimolato dalla propria curiosità e dalla consapevolezza che il ritrovarsi operativo in una città come Berlino in un momento così particolare della storia della città fosse comunque un’esperienza unica e stimolante. Dunque partimmo, dopo aver chiesto e ottenuto ospitalità da una amica di lunga data che in Berlino abitava da anni.

Invito Mostra Berlino al ‘Sale e Tabacchi’, 1997

Il viaggio. Fu un’ emozione giungere a sera con un furgone pieno di grandi casse alla frontiera con la Germania e passare senza formalità! Nell’ultimo tratto del lungo viaggio ci immettemmo sulla strada che, attraverso i territori della DDR, prima della caduta del Muro collegava la Germania federale a Berlino. La strada, risalente all’immediato dopoguerra, era costruita con enormi lastroni di cemento giuntati, il che produceva sul furgone vibrazioni insostenibili con effetto di ‘saliscendi’, facendoci temere per l’incolumità delle opere. Avendo dovuto procedere alla velocità di un calesse, arrivammo a destinazione in ansia e con gran ritardo, ma, con sollievo, costatammo che i lavori erano intatti nonostante i 250 km di continuo e pesante rollio.

Fu per Maurizio  l’ennesima conferma – oltre che motivo di grande soddisfazione –  della sua intuizione che la struttura delle opere, saldata con lo stesso materiale degli elementi che la componevano, avrebbe dato all’insieme una formidabile elasticità, rendendola anche in grado di assorbire vibrazioni come quelle del percorso per Berlino. Oggi, a tanti anni di distanza e nonostante il viaggio di ritorno, quelle opere sono ancora in ottimo stato.

Sale e Tabacchi – Rudi Dutschke-Strasse 23

La Mostra: Allestimento e Inaugurazione

Sale e Tabacchi si trova in un edificio risalente all’epoca Gründerzeit del XIX secolo. La casa e la via sono dedicati a Rudi Dutschke che, proveniente dall’Est, poco prima della divisione con il muro riuscì a trasferirsi all’Ovest, dove è stato il leader del Movimento studentesco tedesco, conosciuto e seguito anche da tutta la contestazione giovanile europea del 1968.

Bionauta- Endopittura, 1988

Fummo colpiti dal locale: un caffè-ristorante come si usa a Berlino dove ci si può intrattenere per buona parte della giornata per leggere, incontrare amici, ecc. e che, arredato in modo raffinato da bar tabacchi italiano, dell’Italia offre menu di buon livello. Progettato da Max Dudler, si presenta molto accogliente, con colori,  arredi caldi e grandi vetrate, dal retro si accede ad un giardino. L’allestimento della mostra apparve subito come una sfida perché gli interni del locale, realizzati di recente, sembravano appena usciti dal cantiere. Erano quindi comprensibili i timori di Pietro de Vitis, vista la disomogeneità delle dimensioni delle opere e le loro esigenze diverse di esposizione. Maurizio non si perse d’animo e iniziò subito ad individuare, secondo i suoi criteri di visione , i luoghi che avrebbero accolto i lavori, affrontando con soluzioni ‘ardite’ il collocamento delle opere su superfici che non potevano essere modificate neanche dall’ ancoraggio ad un chiodo.

Fratelli in lotta – Oscillante, 1996 – Particolare

Si lavorò ininterrottamente dal primo mattino dopo il nostro arrivo a tutto il mattino seguente. Ma alla fine tutte le opere, compresa la più grande e pesante,”Bionauta”, furono sospese senza intaccare nessuna parete e senza l’impiego di ingombranti cavi elettrici supplementari. Le opere esposte riguardavano la produzione – sperimentale e mai ripetitiva – dagli ultimi anni ottanta al 1996: Endopitture, Endosculture, Oscillanti: dai ritratti che mutano a seconda del punto di vista alle lastre incise che, messe in moto, si animano evocando il movimento di memoria.

Gabriella – Endopittura, 1995 – Particolare

Alla sera dell’inaugurazione, l’11 dicembre 1997, intervenne un buon numero di persone a cui erano stati dati gli inviti – ideati e realizzati da Maurizio – dallo stesso locale, o da Fabio, che aveva vissuto, studiato e lavorato a lungo in Germania, o dagli amici che ci ospitavano. Ci fu interesse, attenzione e anche sorpresa per opere certamente inconsuete, ma – nonostante l’aiuto datoci dagli amici italo-berlinesi, la comunicazione diretta con la gente che è sempre stata fondamentale in tutte le mostre ci mancò moltissimo e fummo più che mai pentiti di non avere sufficientemente coltivato lo studio e la pratica delle lingue straniere. In aggiunta a questo problema, percepimmo, al ‘Sale e Tabacchi’, un’ atmosfera culturale molto ‘alla moda’ e snob più che alternativa, impegnata e creativa come l’avevamo immaginata.

Kreuzberg, Checkpoint Charlie, Potsdamer Platz

Potsdamer Platz nel 1945

Ma non è completo il racconto della mostra di Berlino al ‘Sale e tabacchi’ senza ricordare e raccontare del quartiere dove si trova, sin dai primi anni sessanta assunto a simbolo di libertà: Kreuzberg, la zona di confine allora sotto il controllo statunitense, per raggiungere la quale da Berlino Est  il 17 Agosto 1962 il giovanissimo Peter Fechter, colpito dal fuoco delle guardie russe, morì al Checkpoint Charlie, uno dei tre punti di frontiera tra le due Berlino e oggi uno dei luoghi più turistici della città. Nei primi anni del muro, in Kreuzberg – divenuta da zona centrale zona di frontiera – si trasferirono parecchi immigrati.

Potsdamer Platz. Palazzo Daimler progettato da Renzo Piano

A partire dagli anni 80 divenne anche centro di movimenti alternativi, della scena punk rock e dei primi squatters, trasformandosi in seguito nel quartiere più conosciuto, multiculturale e ambito di Berlino, la cui anima alternativa cerca continuamente di reinventarsi e resistere all’inevitabile imborghesimento. ‘Sale e Tabacchi’ è anche vicino al Checkpoint Charlie, posto di blocco ai tempi del Muro situato all’incrocio che collegava il quartiere statunitense di Kreuzberg a quello sovietico di Mitte (il centro storico della città prima della divisione) e ai margini di quest’ultimo c’è la Potsdamer Platz dove da metà degli anni Novanta è stata pianificata e realizzata la “Nuova Berlinodel dopo guerra fredda e trasformata la ‘terra bruciata’, che divideva la zona Est dalla zona Ovest, nel centro vitale della capitale della Germania unita. I progetti esecutivi vincenti furono dell’italiano Renzo Piano e di Helmut Jahn.

Potsdamer Platz. A sinistra un grattacielo di Renzo Piano, al centro il Kollhoff-Tower e a destra il Bahn-Tower

Al nostro arrivo in quei luoghi ci si sentiva partecipi di un cambiamento epocale, emozionati non solo di potere attraversare confini di luoghi fino a pochi anni prima proibitissimi e pericolosi, ma anche nel vedere il ‘miracolo’ di una trasformazione radicale e prospera che pareva poter definitivamente cancellare non solo i lunghi e tristi anni della Guerra fredda, ma pure gli ancora più orribili avvenimenti dei precedenti disastri mondiali.

Accordi sul debito. Londra, 1953

Ora il sentimento nello scrivere queste righe non è più il medesimo. La crisi economica che da dieci anni colpisce in modo particolare l’Europa pare non debba avere mai fine, ma il discorso non si ferma qui. Le distanze tra le diverse nazioni e i popoli del nostro continente non si sono accorciate, anzi è vero il contrario e all’interno delle stesse nazioni le differenze sociali tra gli abitanti si sono gravemente acuite. La Germania, che nell’Unione Europea è di gran lunga la nazione più forte economicamente e che con l’instaurarsi di una moneta unica senza parallela unione politica ha rafforzato la propria supremazia, non esita a farsi paladina di una politica di austerità, senza sconti o rinegoziazioni nei confronti dei debitori spesso incolpevoli, insensibile alle sofferenze e alla decadenza dei popoli di paesi ricchi di storia, civiltà, ingegno. Una Germania che non assume una vera leadership all’interno della UE, ma sempre più aspira a prendere il comando, un ‘dominio senze cuore’ come si legge in una intervista a un noto e molto stimato economista di indirizzo keynesiano che abbiamo avuto la fortuna di conoscere. Eppure la stessa Germania dovrebbe ricordare di non avere avuto dai partner europei lo stesso trattamento.

Al momento della riunificazione la Germania avrebbe dovuto saldare i debiti di guerra già ampiamente decurtati nel trattato di Londra del 1953. Ma quando ciò avvenne, nel 1990,  l’allora cancelliere Helmut Kohl spiegava che la Germania doveva essere aiutata ad affrontare gli altissimi costi. Così i creditori, quasi tutti europei, cancellarono quasi per intero i debiti di guerra tedeschi, probabilmente convinti di perseguire in questo modo l’interesse di tutta la Comunità. C’è anche da ricordare che nello stesso 1990 lo stesso Kohl impose alla Bundesbank la parità tra il potentissimo marco e la moneta dell’Est,  in nome del nobilissimo ideale che la riunificazione del popolo tedesco venisse prima dell’economia. Ma quel cambio 1 a 1 ebbe ripercussioni pesanti per altre monete della Cee. Ora la Germania, dalla propria posizione di forza e rinvigorita dal successo dell’unificazione interna, è in prima fila a volere imporre a quegli stessi paesi rigide regole di ‘austerity’ che li porteranno inevitabilmente alla rovina. Lo Stato tedesco sembra ora immemore degli ideali democratici e solidali professati negli anni ’90 e anche inconsapevole che favorendo il risorgere dei nazionalismi l’intera Europa rischia di sgretolarsi all’interno del mercato globale

“Noi nella crisi, chi paga il conto?” di Ingo Schulze. Nessuna voce è più qualificata a chiudere queste considerazioni di quella di un intellettuale, uno scrittore – caratterizzato da un forte impegno sociale e politico, nato e formatosi nella DDR – che già al suo esordio nel 1995 con il libro di racconti “33 attimi di felicità” suscita l’interesse della critica letteraria internazionale.

Maurizio Aprea. Il Salto. Incisione su plexi. Lastra 3, 2005-2006

Nel 1993 si trasferisce a Berlino e dal 2012 intensifica, con “il nuovo impegno“, il proprio intervento intellettuale sulle problematiche sociali, già crescentemente presente nella sua produzione letteraria. Si tratta di Ingo Schulze, che abbiamo avuto modo di seguire e conoscere – a Milano al Teatro Verdi nel 2013 – alla presentazione dei suoi interventi politico-letterari per la prima volta tradotti in italiano e pubblicati da ADV publishing House nel libro dal titolo: “Noi nella crisi, chi paga il conto?”, in cui il maggiore scritto è il saggio “I nostri bei vestiti nuovi” con sottotitolo “contro una democrazia conforme al mercato, per i mercati conformi alla democrazia”. Schulze ha adottato la favola di Andersen con l’intento “di trovarvi un modello che traducesse in immagini le mie esperienze e mi permettesse in tal modo di comprenderle meglio”. Ecco, sintetizzato, come Schulze descrive le prime mosse dell’unificazione tedesca e dà la propria visione dell’effetto dirompente che essa ebbe sulle scelte politiche ed economiche di tutto il mondo.

Dopo l’abbraccio di Kohl col partito di blocco cristiano-democratico della DDR (il messaggio era: <<Votate loro, votate me>>) e il successivo festoso ‘crollo del Muro’, si parte con l’unificazione monetaria: “Il potere appena conquistato fu affidato dai rappresentanti del popolo tedesco-orientali, liberamente eletti, ai funzionari di Bonn. Questi a loro volta subordinarono i prestiti a un incarico di sovranità. […] In effetti il governo federale propose il marco occidentale alla DDR prima che in Germania dell’Est ne giungesse pressante richiesta da parte della popolazione. <<Paghiamo tutto noi, quindi decidiamo tutto noi>>: così Sarrazin [assessore all’economia (Finanzsenator) di Berlino, ndr.] espresse il motto di Bonn […] L’introduzione del marco occidentale il 1° luglio 1990 significò la condanna a morte per l’industria tedesca orientale. Gli stessi salari che in giugno le aziende avevano pagato in marchi orientali in luglio dovevano essere pagati in marchi occidentali. Il collasso economico era programmato […] Le parti più lucrative [dell’economia pubblica dell’Est, ndr.] furono smerciate sotto banco, la concorrenza sgradita non fu ammessa nel Paese e i tentativi indipendenti intrapresi nell’Est furono impediti con mezzi amministrativi […].

Maurizio Aprea. Residui antropici. Perifotoscopia, 2011

Fiori all’occhiello dell’industria tedesca come Deutsche Bank, Allianz o Lufthansa […] fecero allora affari miliardari a spese dei tedeschi dell’Est e, alla fine, dell’intera popolazione. I tedeschi dell’Est non videro un solo centesimo del loro patrimonio pubblico. Ciò che rimase fu una Regione deindustrializzata per il 70-80% e questo conto lo stiamo pagando ancora oggi. Invece di un’unificazione dei due stati tedeschi ci fu un’accessione dell’Est all’Ovest. Il che significava: dimenticate tutto ciò che era, imparate tutto ciò che è.

Tuttavia la speranza di un mondo migliore era grande e sacrosanta. Con la fine dello scontro fra i due blocchi, della guerra fredda e della corsa agli armamenti, adesso c’erano i soldi e le energie per affrontare i veri problemi del mondo […]. Cosa vi si opponeva ormai? Non era questa più di una semplice speranza? Non era addirittura qualcosa di necessario? O ero caduto vittima di un autoinganno? Anche la fiaba di Andersen parla di autoinganno.

Vengono quindi riprese le note metafore della favola: l’imperatore che non si cura degli affari di governo ma tiene solo ai suoi vestiti; comunque, nel Paese “le cose vanno bene e ogni giorno arrivano molti forestieri e fra questi anche due impostori”. I due sono tipi scaltri. Il loro sapere è “il loro capitale” e promettono all’imperatore di potergli offrire un prodotto veramente incredibile: vestiti non solo bellissimi, ma che anchepossiedono la meravigliosa caratteristica di essere invisibili agli occhi di chiunque non sia ‘all’altezza della sua carica’ o di quelli ‘imperdonabilmente stupidi’ […]E una volta che tale promessa è stata interiorizzata, osservare il mondo non è più importante. Si tratta ormai soltanto di osservare e valutare chi lo osserva […] Se infatti non so riconoscere che il nostro mondo è giusto e socialmente equo, questo non dipende dal mondo, ma da me […] e adesso tutti sanno che io non sono all’altezza di nessuna carica, che sono imperdonabilmente stupido […] Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino […]

9 Novembre 1989. Cade il Muro di Berlino

Chi vide le immagini in televisione della caduta del Muro o le scene in cui cittadini della DDR scavalcavano i cancelli della BRD a Praga, [….] non pensò minimamente di chiedersi quale sistema fosse migliore. Era palese, era una verità evidente. Il voto con i piedi ebbe un esito chiarissimo […] L’implosione politica del blocco orientale cambiò la struttura globale del potere. Non ci fu paese nel quale essa rimase senza conseguenze. Privatizzazione ed economia di mercato scalzarono in tutto il mondo i modelli socialisti e le forme di proprietà non private. Ad esempio, senza il collasso del blocco orientale paesi come il Sudafrica o la Namibia con ogni probabilità avrebbero avuto altre Costituzioni – e allo stesso modo i rapporti di proprietà sarebbero stati diversi. Ma anche paesi come Cina e India modificarono il loro corso […] Nel 1990 il concetto di futuro ci venne a mancare. Potevamo pensare il futuro come un oggi gradualmente migliorato, ma non più come qualcosa di diverso. Del resto non eravamo forse arrivati nel migliore dei mondi possibile? […] Meno Stato più mercato. Quanta più libertà tanto più benessere. Ma quasi più nessuno chiedeva: libertà per chi? Libertà da che cosa? Benessere per chi? Parole come capitalismo, lotta di classe, massimizzazione del profitto erano considerate antiquate e come tali derise, possibilmente evitate […] Così tutto un insieme di parole e domande sparì proprio nel momento in cui sarebbero state più necessarie che mai per descrivere la nuova, vecchia realtà.