Maurizio Aprea
Vaprio d’Adda
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Maurizio Aprea
Vaprio d’Adda
La Mostra di Vaprio d’Adda accende ricordi e sentimenti intensi e anche contrastanti. Il punto di partenza è una gita domenicale sull’Adda dove, proveniendo dalla non lontana Milano, si entra in un altro mondo. Tutto ciò che accadde quel giorno del 2003 infatti è lontano mille miglia dalle dinamiche milanesi. Giunti in prossimità della Casa cinquecentesca – che sorge tra il Naviglio Martesana e il fiume Adda e un tempo era sede del ‘custode o camparo’ che regolava il flusso delle acque – Maurizio rallenta ammirato e nota sull’ingresso la locandina di una qualche prossima manifestazione. Incuriosito e interessato suona, ci viene aperto e subito conosciamo Arturo Riccioli, pittore e figlio dell’ultimo custode delle acque e un paio di amici-collaboratori dell’Associazione Casa del custode delle acque che proprio allora si stava consolidando. Veniamo accolti con semplicità e interesse. Si parla presto di una possibile mostra che Maurizio immagina già in buona parte all’esterno della Casa: nel giardino, allora ancora piuttosto selvaggio, pensa di collocare La Cascata e gli Oscillanti che si “accendono” all’imbrunire, incurante del possibile maltempo …
Allora La Casa portava evidenti i segni del tempo che però non le davano un aspetto triste o cadente – anche se molti e attenti interventi di manutenzione e restauro armonizzati all’esistente erano sicuramente necessari – ma si inseriva perfettamente tra gli elementi naturali circostanti: il giardino a cui si accede dal porticato e le acque di Adda e Naviglio, in un paesaggio ancora riconoscibile come quello dei dipinti settecenteschi di Bernardo Bellotto e di Gaspar van Wittel.
Dopo qualche mese, nel settembre 2003, la Mostra era pronta, come tante altre volte interamente organizzata e allestita in proprio; ma anche i soci dell’Associazione si erano dati da fare pubblicizzando l’evento nel territorio circostante e tra i molti e interessati visitatori intervennero anche autorità della amministrazione locale.
Parecchi anni dopo, di fronte alla vecchia Casa ‘messa a nuovo’, ci è sembrato che quel restauro, cancellando troppo pesantemente i segni del tempo, l’avesse privata del fascino in lei trasfuso dal suo secolare e laborioso passato. Ora più freddamente e ragionevolmente ci rendiamo conto che il perseguire un sogno è spesso lungo, faticoso e porta a inevitabili compromessi e che in un Paese che si cura molto poco del proprio patrimonio artistico e anche della sorte dei propri artisti è già un ottimo risultato che la Casa del custode delle acque sia stata salvata dall’abbandono e successivo inevitabile degrado.